Un aspetto, tra i tanti, che stupisce della politica è che, ogni volta che ci si trova a commentare i risultati elettorali, anche quelle parti che di certo non sono state premiate dal voto riescono ad individuare buone ragioni per essere soddisfatti, o per lo meno non completamente delusi, “aggrappandosi” a statistiche magari mai considerate in precedenza o a confronti con altri Paesi vicino al nostro dove gli esiti, invece, sono stati diametralmente opposti.
Un ragionamento analogo è quello che in queste settimane si sta svolgendo intorno al nostro debito pubblico e al suo costo (banalmente a quanto il Tesoro è costretto ad emettere titoli affinchè trovino interesse presso i risparmiatori).
Partiamo da un punto fermo (purtroppo), di cui tutti siamo consapevoli: il nostro debito pubblico è, a livello europeo, il più alto, superato solo dalla Grecia (non certo una potenza economica) in termini di rapporto debito/PIL, trovandosi intorno al 137%. In termini assoluto oramai siamo ad un passo dai 3.000 MD € (ad agosto eravamo a € 2.948,5), superati da Germania e Francia.
Per riuscire a sostenerlo, siamo altresì costretti a remunerarlo a percentuali ben superiori rispetto al nostro Partner europei: se prendiamo il rendimento dei titoli decennali, considerati il “benchmark”, notiamo che il BTP “paga” il 3,5% circa, l’OAT francese il 3.02%, il Bonos spagnolo il 3%, l’analogo portoghese il 2,74%, il bund tedesco il 2,28%.
Sappiamo anche che tante sono le motivazioni che determinano differenze così ampie: si va da quelle puramente “politiche” (la stabilità di governo) a quelle più “economiche” (la capacità di crescere) per arrivare a quelle prettamente “finanziarie” (entità, appunto, del debito e capacità di sostenerlo).
Se guardiamo al fenomeno del debito nel suo insieme, limitando l’osservazione all’Europa, possiamo notare che tutti i Paesi (ad esclusione probabilmente dell’Irlanda, per ragioni uniche, legate al particolare regime fiscale riservato alle multinazionali che hanno sede in quel Paese) hanno non poche difficoltà a contenere il livello di debito. Fatto che dipende in gran parte da 2 elementi: un basso livello di crescita (l’Europa stenta ad arrivare all’1%) e la necessità di trovare risorse per non appesantire ulteriormente i già precari bilanci familiari.
Trovandosi, bene o male, i vari Paesi un pochino nella stessa (non semplice) situazione (un discorso a parte lo meriterebbe la Germania, anche quest’anno in recessione, seppur di poco), a fare la differenza è quasi certamente la situazione politica, aspetto per il quale, quasi incredibilmente, risultiamo, in questo particolare momento storico, quello “più stabile” (proprio oggi l’attuale Governo festeggia i 2 anni di vita). In altri Paesi la situazione è ben più precaria (in Francia è stato nominato da circa 1 mese un Governo di minoranza, la Germania si avvia a nuove elezioni l’anno prossimo con il Governo Scholz piuttosto logorato), il che rende oltremodo difficile fare previsioni di medio periodo (non dimentichiamo che, sempre in Francia, nel 2027, si terranno le Presidenziali, anche se sono circolate voci che Macron potrebbe anche rassegnare le dimissioni in anticipo).
Fatto sta che, nell’anno che sta per finire, i rendimenti del nostro debito pubblico sono gli unici che si sono “ristretti”.
Infatti, se un BTP a fine 2023 rendeva il 3,70%, oggi, appunto, è almeno 20 bp più sotto; di contro l’Oat francese “paga” uno 0,46% in più, un bonos spagnolo è sullo stesso livello, il titolo portoghese 5 bp meno, il bund tedesco 25 bp in più. Se lo guardiamo dal punto di vista dello spread, siamo passati da circa 170 bp a 120 bp, ben 50 bp in meno.
Certo, quando si parte da distanze così ampie il recupero può essere veloce, mentre, mano a mano che il differenziale si stringe, mantenere il “passo” diventa sempre più difficile.
Ma va dato atto che, rispetto al contesto in cui ci troviamo, qualche segnale (come le reazioni alla Legge di bilancio in corso di approvazione, per quanto certamente migliorabile) positivo si può notare, fermo restando che ci saranno momenti in cui il “fardello” del debito si farà sentire eccome.
Ieri sera a New York chiusure contrastate.
Il Dow Jones ha limato dello 0,80%, lo S&P 500 – 0,2%, mentre il Nasdaq è salito dello 0,18%, con Nvidia al nuovo massimo storico dopo il rialzo del 4,6%.
Questa mattina mercati “Great China” intorno alla parità, dopo un avvio piuttosto positivo grazie ai nuovi provvedimenti di sostegno varati dal Governo (taglio dei tassi dello 0,25% medio, immissione di liquidità per circa 50 MD di Yuan, cioè circa € 6.5 MD): Shanghai + 0,12%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng cede lo 0,20%.
Più vistoso il calo del Nikkei a Tokyo, in ribasso dell’1,30%.
Taiex di Taiwan – 0,5%, Kospi Seul – 1%.
Deboli, per il momento, i futures, con cali tra lo 0,20 e lo 0,40%.
Torna a scendere il petrolio, con il WTI a $ 69,81 (- 0,44%).
Gas naturale Usa $ 2,334 (+ 0,78%).
Non si ferma l’oro, che ritocca il proprio record, fresco di ieri, e arriva a $ 2.746 (+ 0,20%).
Spread a 123,6, in rialzo.
BTP 3,50%.
Bund 3,27%.
Treasuries ancora in salita, con il rendimento al 4,21% rispetto al 4,18% della chiusura di ieri.
€/$ 1,0823, con il $ che da nuovi segnali di forza.
Bitcoin che si allontana dal picco di ieri mattina, riposizionandosi a $ 67.810.
Ps: i social, oramai, si sono impossessati di molte delle nostre vite (soprattutto, cosa che preoccupa non poco, tra i giovani). Tra i più noti senza dubbio c’è tik-tok. Ma molti ricordano che ben prima di tik-tok sono nate le tic-tac, le famose pastigliette alla menta prodotte dalla Ferrero. Ieri è deceduto Giandonato Nicola, ritenuto il “padre” delle caramelline. Non si sa se tra qualche anno tik-tok ci sarà ancora: di certo, però, ci saranno le tic-tac.